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La Timpa, le Frane e le Nostre Responsabilità

Una nuova frana sulla Timpa, nella sera del 10 Settembre, mentre un intensa precipitazione si abbatteva sulla costa ionica, una porzione del costone roccioso della Timpa franava sulla frazione di Santa Maria La Scala, mettendo a rischio alcune abitazioni ed arrestandosi sulla sottostante via Tocco.

L’evento meteorologico a cui abbiamo assistito, che siamo ormai abituati a chiamare “bomba d’acqua” è un fenomeno che i climatologi definiscono come temporale autorigenerante, si tratta di particolare tipo di precipitazione molto comune nelle aree tropicali ma che ormai si manifesta regolarmente durante l’autunno anche alle nostre latitudini, una massa d’aria calda e umida collide con una più fredda e genera piogge intense e persistenti, la cellula temporalesca umida occlusa da quella fredda estrae continuamente acqua dalla massa d’aria ed il fronte non potendo avanzare per la presenza di una massa più densa, continua a scaricare grandi quantità di pioggia in uno spazio ristretto raggiungendo precipitazioni anche di 200-300 mm in poche ore.

Considerando che un mm di pioggia corrisponde circa ad un litro per metro quadro di terreno, si può comprendere quanto può essere pericoloso un fenomeno simile per un territorio fragile come quello della Timpa di Acireale, mentre questo tipo di fenomeni è comune nelle aree tropicali da millenni, nelle nostre latitudini è relativamente recente ed i terreni non sono geomorfologicamente predisposti a ricevere masse d’acqua così intense e concentrate.

Per nostra fortuna le rocce che compongono la Timpa sono colate laviche e contengono solo una parte di materiali piroclastici meno coesi che non generano colate detritiche, le frane sono prevalentemente di crollo e l’assenza di argille non produce flussi veloci e distruttivi, altrimenti oggi parleremo di ben altro.

blocchi di piroclastiti prossimi al ribaltamento

Il meccanismo della frana del 10 settembre è quello che avviene da sempre sulla Timpa, le acque di pioggia erodono i materiali più teneri (piroclastiti) su cui sono stratificate le colate laviche, che essendo fratturate per raffreddamento e non avendo più il piede di appoggio, ribaltano e rotolano giù per il pendio sottostante.

Purtroppo nonostante le frane sulla Timpa avvengano da sempre, siamo in presenza di una faglia regionale, l’approccio che le popolazioni che vivono sopra e sotto la scarpata è cambiato nel tempo, aggravando la pericolosità del costone. Fino a una ventina di anni fa, l’intera scarpata della Timpa era coltivata con la tecnica dei terrazzamenti, i contadini avevano acquisito un’esperienza millenaria nel segmentare il pendio inserendo migliaia di terrazzi su cui ricavare terreno agricolo, i terrazzi collegati da scale permettevano il deflusso controllato delle acque e limitavano la velocità di scorrimento, con la scomparsa delle colture ed il contemporaneo aumento delle precipitazioni, il territorio è andato in crisi ed i terrazzamenti da presidio di sicurezza sono diventati anch’essi una fonte di frana .

Purtroppo nonostante la protezione integrale della Riserva sia un bene assoluto, non bisogna dimenticare che la Timpa non è una giungla tropicale, ma è un ecosistema fortemente antropizzato nei secoli, che non può essere forzatamente rinaturalizzato, sospendendo qualunque attività, perché per tornare all’assetto originario (naturale) occorrono millenni e le frane sono proprio parte di questo ” ritorno all’equilibrio”, di un ambiente modificato dall’uomo per migliaia di anni.

Su Santa Maria La Scala esistono numerosi interventi di protezione fatti negli anni da vari enti, la maggior parte sono molto vecchi e soprattutto non esiste alcun piano di manutenzione e di monitoraggio, gran parte delle barriere paramassi installate negli anni e le barriere funzionano se i meccanismi frenanti sono in grado di muoversi e dissipare energia, altrimenti diventano dei “porta rampicanti”.

Non esiste un piano di allarme, oggi esistono sistemi telecontrollati per capire se una barriera ha subito un impatto ed evacuare le abitazioni sottostanti, perché se il primo impatto viene arrestato non è detto che lo sia il secondo, non esiste una monitoraggio generale del costone per verificare se altre aree non coperte siano a rischio e soprattutto non esiste un allarme automatico di precauzione per le parti sensibili come la scuola elementare.

La stessa è stata investita da un grosso masso molti anni addietro, da allora dopo alcuni interventi di consolidamento, più nulla è stato fatto e purtroppo la scuola si trova a valle del costone più alto della Timpa.

Non si tratta di fare facile allarmismo, ma occorre semplicemente monitorare la situazione a monte e predisporre un piano di evacuazione a seguito di forti piogge, un piano specifico per quella scuola che preveda livelli di attenzione differenti dalle altre scuole, perché lì la situazione, purtroppo e differente, e ripeto, non lo dico per destare paure infondate ma per sensibilizzare le autorità competenti verso un problema che esiste e non va sottovalutato.

FABIO D’AGATA

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